Il prossimo mercoledì 26 giugno, dalle ore 18, terremo un incontro on line (a questo link), a cui sarà presente anche l’avvocato Francesco Americo del centro nazionale FLC, per discutere con precari e precarie dell’università la situazione alla luce di queste novità e della loro ricezione negli atenei.
Le università italiane negli ultimi quindici anni hanno visto svilupparsi una terra di mezzo tra di figure precarie, al di fuori dello stato giuridico e del contratto nazionale, con scarse tutele e senza rappresentanza: una situazione che speravamo andasse a ridursi con l’istituzione del Contratto di Ricerca (legge 79/2022), ma che oggi si vuole rilanciare con la moltiplicazione di borse e rapporti di lavoro, secondo quanto indicato da un gruppo di lavoro ministeriale.
In questo contesto precario, negli ultimi anni abbiamo visto imporsi nuove e improbabili disposizioni, che stravolgendo ogni riconoscimento dell’attività di ricerca come un lavoro, con i suoi diritti costituzionali e normativi, hanno ulteriormente colpito i precari dell’università.
Esemplificativa è stata la scelta di molti atenei sui Ricercatori a Tempo Determinato di tipo a) assunti nel quadro del Programma Operativo Nazionale Ricerca e Innovazione 2014-2020, secondo quanto previsto dal DM 1062/2021. Questi ricercatori, infatti, sono stati assunti sulla base di fondi europei e, in nome della rendicontabilità e quindi dell’effettivo riconoscimento dei costi sostenuti dall’ateneo, è stato deciso di imporre particolari e pesanti vincoli alla loro attività. Ad esempio, è stato imposto di svolgere solo ed esclusivamente le attività previste nel loro programma di ricerca, impedendogli la partecipazione ad altri progetti o iniziative, non solo contro la prassi comunemente in uso nell’ambito di università ed enti di ricerca, ma anche contro la logica stessa dei percorsi pre ruolo e delle legittime aspettative di sviluppo di carriera dei giovani ricercatori.
A questi RTDa, poi, molti atenei hanno imposto nel loro contratto un ulteriore clausola: la restituzione delle somme percepite come retribuzione in caso di mancata conclusione dell’attività svolta. In pratica, a fronte delle norme europee di rendicontazione che impediscono il riconoscimento dei costi sostenuti se l’attività progettualmente prevista non è stata conclusa, molti atenei hanno deciso di rivalersi direttamente sul singolo lavoratore e lavoratrice, prevedendo che il o la ricercatrice abbandona la propria attività prima che sia concluso l’80 o il 90% del previsto triennio di assunzione, debba restituzione l’intero importo della retribuzione sino ad allora ricevuta. In questi anni, diversi RTDa si sono trovati in questa condizione, avendo avuto la possibilità di partecipare a concorsi in tenure-track (RTDb) o in altre posizioni lavorative, anche per l’implementazione del nuovo piano straordinario di assunzione nelle università. Così, i e le precarie sono state messe nella condizione di dover scegliere tra entrare finalmente in una posizione di ruolo, pagando però cospicue penali all’ateneo di appartenenza, o dover rinunciare a questa possibilità, non avendo le risorse a disposizione.
La FLC CGIL ha contestato sin da subito queste norme: sia intervenendo presso il Ministero e il Parlamento per cambiare disposizioni e linee guida, creando un apposito fondo nazionale in grado di coprire queste esigenze; sia intervenendo presso le governance degli atenei, chiedendo che non si attivasse nessuna azione di rivalsa sui singoli ricercatori e ricercatrici; sia infine sostenendo un’azione di tutela legale di fronte alla richiesta di restituzione delle propria retribuzione, che si riteneva un’azione contraria ai principi costituzionali dell’equa retribuzione e allo stesso riconoscimento dell’attività di ricerca come un lavoro.
Questa azione trova oggi un riconoscimento effettivo, da due diverse parti.
In primo luogo, lo scorso ottobre la segreteria generale del MUR ha definito una procedura straordinaria per la rendicontazione e la certificazione della spesa a seguito di formale rinuncia del Ricercatore RTDA già beneficiario del contratto ex DM 1062/2021. In pratica il Ministero, riconoscendo che:
- lo scenario italiano ed internazionale dei finanziamenti per la ricerca e delle opportunità per i giovani ricercatori è stato fortemente dinamico e animato da nuove opportunità, determinando, sovente, procedure di ulteriore avanzamento di carriera a favore degli RTDA, che sono nel frattempo diventati RTDB (con conseguente rinuncia della posizione acquisita di RTDA ex DM 1062), oltre agli ulteriori bandi pubblicati dalle pubbliche amministrazioni, per reclutamento di elevate professionalità e nuove assunzioni di tecnici altamente specializzati da parte del sistema dell’impresa
- il ricercatore, quindi, non agisce uti singulis ma lavora all’interno di un gruppo di lavoro scientifico e svolge la ricerca a beneficio di esso. Le attività che afferiscono al contratto di ricerca RTDA sono infatti soltanto una parte del complesso della ricerca portata avanti dal gruppo
ha previsto una procedura attraverso cui il Dipartimento possa deliberare l’assorbimento e la presa in carico delle attività oggetto del contratto del RTDA ex DM 1062 nell’ambito delle proprie attività, garantendone la prosecuzione ed ultimazione avvalendosi del personale di ricerca attivo (RTDB, RTDA, professori associati e professori ordinari) appartenente. In questo modo il MUR provvederà ad avviare le procedure di controllo ai fini del pagamento del rateo delle attività svolte dal ricercatore dimissionario relative al periodo temporale intercorrente tra l’inizio del contratto di ricerca e la rinuncia del ricercatore (controllo UCO ed UNICO) e a certificare nei confronti dell’Unione Europea le rendicontazioni delle attività svolte dal ricercatore dimissionario.
In secondo luogo, la settima sezione del Consiglio di Stato [sentenza N. 8241/2023 dell’8 settembre 2023] lo scorso autunno ha accolto il ricorso di una ricercatrice che si è trovata in questa condizione, ritenendo che un ateneo abbia la possibilità di prevedere una multa penitenziale come equo indennizzo dovuto dalla medesima in favore del datore di lavoro per l’interruzione anticipata del rapporto a seguito del recesso unilaterale, ma tale possibilità deve esser esplicitamente indicata quale corrispettivo per l’esercizio del diritto di recesso, con un quantum prestabilito o criteri e parametri certi, non modificabili e non casuali. In questo senso, essendo che la richiesta dell’Amministrazione ha ad oggetto, in effetti, le somme percepite a titolo di retribuzione dalla ricorrente e che tale retribuzione è relativa ad un lavoro già svolto, tale richiesta è illegittima.
Riteniamo che il combinato disposto della sentenza del TAR e della previsione del MUR ponga le basi per superare definitivamente questa norma vessatoria.