Le lauree fasulle e le insostenibili assuefazioni sull’università

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Nelle scorse settimane è esplosa sui media la notizia che oltre un migliaio di studenti e studentesse, praticamente laureati o laureandi in Medicina, Fisioterapia e Infermieristica, sono stati iscritti a un ateneo fasullo. Il Dipartimento Jean Monnet dell’Università di Gorazde, in Bosnia Erzegovina, ha sede in Italia e tiene corsi in italiano, ma non rilascia titoli di studio validi o validabili in Unione Europea. Questi studenti e queste studentesse hanno pagato rette fantasmagoriche (sino a 26mila euro annui), hanno seguito lezioni e anche tirocini, ma tutto questo li lascia con in mano un pezzo di carta senza alcun valore. La magistratura ha aperto un’inchiesta per truffa e saranno le autorità giudiziarie che valuteranno gli eventuali reati e responsabilità penali. Quello che vogliamo qui sottolineare sono alcune riflessioni sulle responsabilità politiche e amministrative del sistema universitario italiano, che crediamo non debbano esser né ignorate, né sottovalutate. Perché il rischio reale è che queste situazioni si ripetano e si moltiplichino.

Gli studenti e le studentesse di questo ateneo hanno seguito in questi anni lezioni e corsi tenuti da docenti italiani, professori universitari in atenei italiani, dirigenti e medici del servizio sanitario nazionale. Non solo. Hanno svolto attività di tirocinio in strutture del Servizio Sanitario Nazionale. Quei corsi di laurea, cioè, sono sembrati accreditati da istituzioni e strutture pubbliche, collegate al sistema universitario italiano. Quei docenti, quei medici, quei professionisti, dalle notizie che abbiamo raccolto, hanno insegnato in corsi a distanza, anche se erano perfettamente consapevoli che all’interno del sistema universitario nazionale, anzi all’interno delle convenzioni europee sulla formazione nelle professioni sanitarie, i corsi di laurea di questi settori devono essere esclusivamente in presenza. Inoltre, questi professori e questi professionisti, almeno quelli dipendenti da atenei e strutture pubbliche, devono esser stati autorizzati dalle proprie istituzioni di appartenenza a svolgere queste attività di insegnamento. In ogni caso, per le regole amministrative e fiscali dei dipendenti pubblici, erano sicuramente perfettamente a conoscenza di questa attività. Gli ospedali e le strutture sanitarie dove operavano i tirocinanti, per attivare le convenzioni di tirocinio, per accogliere operatori in formazione ma comunque agenti nelle proprie strutture devono esser stati consapevoli della natura e del piano di studi dell’ateneo di Gorazde. Come è stato possibile che nessuno abbia sollevato problemi?

Semplice: perché oramai nei percorsi formativi universitari di questo paese, si è assuefatti all’idea che ogni ateneo possa fare più o meno quello che vuole, senza che nessuno in realtà intervenga in corso d’opera per verificare se quello che viene fatto sia effettivamente adeguato e congruente con la normativa. Così, il problema è esploso solo dopo anni, quando oltre un migliaio di studenti e studentesse sono state coinvolte, quando sembra che diversi laureati siano già stati inseriti o stiano provando a inserirsi nel mercato del lavoro. Tutto questo, cioè, è potuto accadere perché gli organi che sovraintendono il sistema universitario, in particolare il Ministero dell’Università e della Ricerca [MUR], l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca [ANVUR] e il Consiglio Universitario Nazionale [CUN], sono oramai abituati a non svolgere nessuna reale attività di sorveglianza, ispezione e supervisione, anche perché svuotati di un reale potere e dell’autorevolezza necessaria a favore di chi governa le cosiddette “autonomie”.   Di più: il MUR sulla vicenda dell’ateneo di Gorazde lo scorso 23 dicembre è arrivato a rivendicare, rispetto ad accordi e convenzioni che il Dipartimento Jean Monnet vantava di avere con alcuni atenei italiani come il Federico II di Napoli, che le Università sono istituzioni autonome e, nell’ambito della loro autonomia possono sottoscrivere collaborazioni anche con soggetti non universitari. L’idea che l’autonomia porta con sé automaticamente un sistema che si autoregola è fallita nella sua realizzazione, come era ampiamente prevedibile ed è stato previsto. La competizione tra gli atenei non poteva che portare come conseguenza la nascita di soggetti che la interpretano in funzione del profitto: lauree in vendita come caramelle al supermercato della formazione universitaria. Così, nelle pieghe del sistema universitario italiano può crescere indisturbata una sorta di accreditamento informale e di fatto di corsi universitari fasulli.

È la stessa assuefazione che permette oggi agli atenei telematici di svolgere prove d’esame e discussioni di tesi da casa, online, anche dopo la fine dello stato di emergenza, nonostante decreti ministeriali che dichiarano impossibile svolgere queste prove a distanza.

È la stessa assuefazione che permette oggi a un ateneo in presenza, con corsi di laurea in presenza, di tenere esami in sede distaccate, con una commissione parzialmente a distanza e docenti senza corsi assunti ad hoc, estendendo e, secondo noi, distorcendo una normativa limitata ai corsi di laurea a distanza.

È la stessa assuefazione che permette oggi ad alcuni atenei di costringere i docenti ad utilizzare format standardizzati di esame (31 domande a scelta multipla), per facilitare la somministrazione degli esami online da casa (e forse anche il loro superamento), contro la normativa che da una parte afferma la libertà di insegnamento e dall’altro la necessità di accertare la maturità intellettuale del candidato e la sua preparazione organica nella materia sulla quale verte l’esame, senza limitarsi alle nozioni impartite dal professore nel corso cui lo studente è stato iscritto.

È la stessa assuefazione che permette oggi ad alcuni atenei di bandire posizioni da docente universitario a tempo definito, risparmiando così sui costi per raggiungere i requisiti minimi, quando la normativa di legge che regola quei rapporti di lavoro assegna annualmente al docente la scelta di quale regime di lavoro attivare.

È la stessa assuefazione che permette oggi ad atenei statali di approvare regolamenti che aumentano l’attività di insegnamento dei docenti sino a 150 ore all’anno, sulla base delle esigenze di funzionamento o della loro attività di ricerca, senza che questa possibilità sia prevista da nessuna normativa.

Il Ministero dell’Università [MUR] e il Consiglio nazionale Universitario [CUN] queste cose le sanno perfettamente. Gliele abbiamo segnalate noi. Eppure, non fanno niente. Come non hanno fatto niente in questi anni le università che sapevano che propri docenti stavano di fatto accreditando corsi online che non potevano esistere nella normativa europea. Il numero di atenei stranieri in Italia si è moltiplicato in questi anni [ai classici atenei americani di Bologna, Firenze e Roma, che non rilasciano titoli validi, e alle numerose storiche sedi delle università pontificie, si sono aggiunti negli ultimi anni numerosi sedi italiane di atenei austriaci, romeni, svizzeri e, appunto, bosniaci). Nel contempo si sono espansi i corsi online e le università profit [che oggi coinvolgono più del 10% degli iscritti ai corsi di laurea]. Tutto queste cresce, perché non esiste più di fatto un’autorità di sorveglianza e controllo, se non preventiva nella richiesta di accreditamento di un corso di laurea. Non interessa in realtà a nessuno quello che poi succede nelle aule universitarie, o quello che succede nelle aule di realtà che non chiedono questo accreditamento, ma usano strutture pubbliche e docenti delle università pubbliche. Se l’università nel suo complesso non assumerà una maggior consapevolezza, se non ci saranno interventi normativi di rilancio del sistema nazionale, se non si rafforzeranno e concretizzeranno i poteri di supervisione e controllo di MUR e CUN, questi episodi non potranno che moltiplicarsi nei prossimi anni. Per questo la FLC si è attivata da tempo su questo fronte e presenterà a breve un rapporto sul piano inclinato delle università profit, dei corsi a distanza, degli atenei ibridi, il prossimo 10 aprile 2024 presso la sede nazionale della CGIL [corso Italia 25, Roma].

Per intervenire ora, prima che sia troppo tardi.


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