Università: proroghe a vista

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A più di quattro mesi dal suo insediamento, il nuovo esecutivo Meloni e la ministra Bernini hanno finalmente iniziato a delineare qualche intervento per l’università e la ricerca. Nella legge di Bilancio e negli altri provvedimenti di questi mesi, infatti, il settore non era stato praticamente toccato, nonostante un’inflazione sopra il 12% che sta oggettivamente tagliando gli avanzamenti del Fondo di Finanziamento Ordinario degli scorsi anni; nonostante un rinnovo contrattuale ancora aperto su cui ancora devono esser dette parole chiare sulla distribuzione delle risorse per il personale, i fondi sul salario accessorio, le risorse per gli enti non MUR e il nuovo contratto di ricerca; nonostante un intervento PNRR su cui abbiamo sottolineato molteplici squilibri e problemi. Dopo molte parole in incontri parlamentari, confronti istituzionali e inaugurazioni degli anni accademici, si inizia finalmente a vedere qualche fatto nella legge di conversione del cosiddetto decreto milleproroghe, in approvazione definitiva in questi giorni alla Camera, e in uno Schema di decreto sulle Disposizioni urgenti per l’attuazione del PNRR e del relativo Piano di investimenti complementari (PNC). Vedremo a breve la loro formalizzazione definitiva, ma la lettura dei testi solleva già diverse perplessità: l’azione su università e ricerca si conferma infatti parziale, occasionale, incompleta e provvisoria.

Il primo intervento da segnalare è la proroga degli assegni di ricerca (art. 6 comma 1 del Milleproroghe). È un intervento annunciato dalla ministra sin dai suoi primi passi parlamentari a dicembre ed era inserito nel DL sin dall’inizio del suo percorso (29 dicembre 2023). Lungi da riconoscere e rispondere alle preoccupazioni del precariato su una revisione del pre-ruolo di cui abbiamo da subito segnalato i limiti chiedendo interventi  precisi; lungi da rafforzare i percorsi di stabilizzazione e dedicare nuove risorse per garantire una corretta trasformazione in tempi brevi di tutti gli assegni di ricerca nei nuovi e positivi contratti di ricerca, questa soluzione provvisoria ed incompleta risponde semplicemente alle richieste della CRUI, e dei settori più retrivi dell’accademia, che intendono in realtà bloccare il contratto di ricerca e re-introdurre forme atipiche e a basso costo di precariato (assegni o vecchi post-doc). Questa proroga, cioè, rischia solo di rilanciare il precariato universitario: tanto più che nello Schema di nuovo decreto in discussione (art. 28, comma 6) si prevede l’eliminazione del tetto di spesa indebitamente introdotto dalla revisione del preruolo all’art.22, comma 6, della legge 240/2010, ma solo in relazione alle risorse del PNRR e quelle derivanti da progetti di ricerca, nazionali o internazionali, ammessi al finanziamento sulla base di bandi competitivi, solo per il periodo di attuazione dello stesso PNRR (cioè, solo fino al 2026). Nel momento in cui si introduce oggi un’innovazione legislativa, che tra l’altro ribadisce un concetto che era già stato precisato in una circolare della Ministra Messa la scorsa estate, colpisce quindi l’esenzione limitata e temporanea, di fatto confermando il significato generale di quel tetto di spesa. In questo quadro complessivo, allora, si conferma l’importanza da una parte che nel CCNL istruzione e ricerca, in fase di rinnovo, sia inserita una parte economica e normativa sul contratto di ricerca, dall’altra che si sviluppi negli atenei un’iniziativa per la sua concreta applicazione, in modo di consolidarlo entro il 2023 cancellando finalmente dal prossimo anno figure atipiche e a basso costo nel lavoro di ricerca.

Il milleproroghe, inoltre, prevede una proroga dei cosiddetti percorsi di stabilizzazione Madia per il precariato negli enti di ricerca (art. 8 comma 6-quater). Per le esigenze del PNRR, si prevede infatti di mantenere sino al 31 dicembre 2026 le procedure per il superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni previste dall’art. 20 commi 1 e 2 del DLgs 75/17. Giustamente, cioè, si proroga quella strada che in questi anni ha permesso di stabilizzare migliaia di precari: a colpire, però, è il parallelo e totale silenzio sul fronte universitario, dove anzi la proroga degli assegni e degli RTDa rischia di gonfiare in questi anni una nuova bolla di migliaia e migliaia di precari, che precipiteranno tra 2/3 anni nel vuoto senza alcun meccanismo, risorsa e percorso per una loro prospettiva nelle università.

Un secondo aspetto dell’intervento riguarda le assunzioni in ruolo nelle università. Per il personale tecnico, amministrativo e bibliotecario (art. 1 comma 2 lettera a) è previsto una proroga al 31 dicembre 2023 del termine per procedere alle assunzioni relative alle cessazioni negli anni dal 2013 al 2021 (art. 3 commi 1 e 2 e DL 90/14 e dall’articolo 66, commi 13 e 13-bis della legge 133/08). Si è persa però di nuovo l’occasione per un intervento sul limite del fondo del salario accessorio per il personale contrattualizzato, più volte da noi richiesto a tutti gli interlocutori istituzionali (dalla Ministra all’ARAN), tanto più necessario visto il piano straordinario di assunzioni, e sollecitato ora finanche dalla CRUI e dal CODAU. Ci si trova così davanti al paradosso dell’impossibilità di aumentare il fondo in funzione dell’aumento del personale (circa il 10% nei prossimi due anni), con l’effetto possibile di una riduzione delle retribuzioni di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori, già fanalino di coda nella PA.

Per il personale docente (art. 6 comma 8-quinquies) è prevista una proroga dell’art 24 comma 6 della legge 240/2010 sino al 30 dicembre 2025 (procedura riservata per la chiamata nel ruolo di professore di prima e seconda fascia di professori di seconda fascia e ricercatori a tempo indeterminato in servizio nell’università medesima che abbiano conseguito l’abilitazione scientifica). Provvedimento richiesto da tempo dalla FLC, sul quale avevamo proposto specifici emendamenti nelle ultime due leggi di Bilancio. In particolare, a fronte di un Piano straordinario di assunzioni del personale a regime nel 2023 e 2024, è importante che per ogni ateneo sia possibile in sede di programmazione distinguere le procedure di nuova assunzione (e quindi allargamento degli organici) da quelle di progressione di carriera (che interessano solo una quota ridotta di risorse). Bene allora che questa proroga sia per tutta la durata del piano straordinario (sino a fine 2025), ma questi anni a disposizione dovranno esser usati da una parte per una revisione generale delle procedure di chiamata (e noi da tempo chiediamo anche di introdurre il ruolo unico), dall’altro soprattutto per un piano straordinario strutturale in grado di affrontare i 40mila posti vacanti nella docenza universitaria (come ricordato dalla relazione di accompagnamento della legge di bilancio 2022). Da segnalare, in questo quadro, che l’art. 28, comma 7, della Schema di decreto sul PNRR prevede l’inserimento nella programmazione di un ulteriore vincolo (introducendo un comma 4-bis all’art 18 della legge 240/2010), in cui si riserva almeno un quinto dei nuovi bandi per professori ordinari a docenti che non sia professori di prima fascia già in servizio.

Un terzo aspetto dell’intervento riguarda l’ASN e l’anno accademico. La conclusione dell’attuale bando 2021-2023 ((art. 6 comma 8-sexies) viene prorogato di fatto di quattro mesi (presentazione domande dal 7 febbraio al 7 giugno 2023), con relativo slittamento della durata delle Commissioni nazionali e formazione delle nuove per l’ASN 2023-2025 da avviare per l’estate (entro 31 luglio 2023). Inoltre, come lo scorso anno a causa pandemia, viene prorogato al 15 giugno la scadenza per l’ultima sessione delle prove finali
dell’anno accademico 2021/2022
(art. 6 comma 8-ter). Due interventi francamente minimali e di corto respiro, in particolare il primo a fronte della necessità di rivedere profondamente l’Abilitazione Scientifica Nazionale, come richiesto da tempo da associazioni sindacali e scientifiche del settore.

Un quarto e ultimo aspetto riguarda una stretta sui controlli del PNRR (art 29 e 30 del relativo schema di decreto).  Il PNRR nel settore dell’università e della ricerca è stato segnato dalla particolare rilevanza delle risorse e da processi che facilitano la perdita di senso sull’uso e l’abuso delle risorse [come abbiamo segnalato lo scorso ottobre]. Oggi registriamo innanzi tutto l’intenzione di replicare interventi a pioggia di sostegno alle industrie (art. 28, comma 1), senza particolari prospettive e solidità di progetto, prevedendo un esonero contributivo alle aziende che hanno finanziato dottorati innovativi per favorire l’assunzione di contrattisti o RTDa, sino ad un massimo di due persone e per 7.500 euro ciascuno, pur di utilizzare risorse del PNRR che in realtà si faticano a spendere effettivamente ed efficacemente. Lo stesso Schema, però, prevede l’introduzione all’art 29 di una serie di provvedimenti volti a tener sotto controllo un sistema che, tramite tecnopoli e fondazioni private, è diventato sempre più magmatico. In particolare (art. 29 comma 1), si prevede l’entrata di un rappresentante del MUR o dei ministeri interessati negli organi dei soggetti a partecipazione pubblica appositamente costituti (l’esperienza delle università non statali, dove quando ci sono questi rappresentanti non svolgono una particolare azione di controllo, ci dice che forse tutto questo non sarà particolarmente utile). Inoltre (art 29 comma 2 e 3) sarà obbligatorio adottare procedure di controllo e rendicontazione idonei ad assicurare il corretto impiego delle risorse finanziarie, permettendo al MUR di effettuare specifiche verifiche, anche a campione. Infine, (art 29 comma 4 e 5) viene data la possibilità agli atenei di usare come strumenti di garanzia per la realizzazione degli interventi PNRR.

Nel complesso, come abbiamo sottolineato all’inizio, un intervento parziale, temporaneo, soprattutto incompleto e insufficiente rispetto alle gravi emergenze che da tempo segnaliamo come organizzazione sindacale.


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