Il 25 aprile, come ogni giorno, coltiviamo, preserviamo, onoriamo e non permettiamo a nessuno di riscrivere la storia antifascista di questo Paese.
Il 25 aprile non è una data come un’altra. E ricordarlo non è retorica. E non è nemmeno più una cosa scontata.
Il 25 aprile di ogni anno noi tutti ricordiamo e festeggiamo (sì, festeggiamo) la Liberazione e quindi la Resistenza che ha cambiato la storia d’Italia con la sconfitta del nazifascismo.
Ma non solo.
Il 25 aprile ha posto fine alla tragedia immane di una lunga guerra. Venti anni di lotte antifasciste, anni durante i quali decine di migliaia di italiani sono stati perseguitati, arrestati, confinati, deportati e uccisi perché contrari al regime di Mussolini. Ed è importante ribadirlo e ricordarlo per ribadire e ricordare che la libertà e la democrazia non sono doni calati dall’alto ma conquiste raggiunte con la lotta. In questo senso ricordare è militare, battersi e parteggiare.
Essere partigiani della memoria in un momento storico in cui i diritti dei lavoratori, delle donne, l’inviolabilità delle persone e la Costituzione stessa sono tornati sotto attacco. In un momento storico in cui si moltiplicano episodi di violenza e di apologia del fascismo e allo stesso tempo alcuni rappresentanti delle istituzioni e della politica non perdono occasione di rilasciare inopportune dichiarazioni e assumere discutibili comportamenti del tutto inadeguati rispetto al ruolo esercitato, chiedendo poi facilmente scusa ma trattenendosi (bene) dall’utilizzare il termine antifascismo.
Il 25 aprile è parlare apertamente di antifascismo. E farlo, oggi, non è come vogliono farci credere roba vecchia, “storia superata”. Soprattutto alla luce dei fatti festeggiare oggi questo giorno significa non permettere a nessuno di riscrivere la storia antifascista di questo Paese. Perché il fascismo non è di certo finito il 25 aprile 1945. È stato battuto, certamente, ma non sconfitto.
“Coltivare la memoria, contrastare odio, pregiudizio e indifferenza, non sono impegni dai quali si può deflettere, soprattutto adesso” ha detto Sergio Mattarella in visita in questi giorni ad Auschwitz-Birkenau. “L’odio, il pregiudizio, il razzismo, l’estremismo, l’antisemitismo, l’indifferenza, il delirio, la volontà di potenza sono in agguato, sfidano in permanenza la coscienza delle persone e dei popoli. E per questa ragione non può essere ammesso nessun cedimento alle manifestazioni di intolleranza e di violenza, nessun arretramento nella tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, base del nostro convivere pacifico”.
Il presidente della Repubblica, in visita di Stato in Polonia, ha preso la parola per salutare i partecipanti alla Marcia dei vivi, per condannare in modo netto chi collaborò con i soldati di Hitler.
“Siamo qui oggi a rendere omaggio e fare memoria dei milioni di cittadini assassinati da un regime sanguinario come quello nazista che, con la complicità dei regimi fascisti europei, che consegnarono propri concittadini ai carnefici, si macchiò di un crimine orrendo contro l’umanità”. Senza bisogno di nominarle, le parole di Mattarella sono la smentita più secca delle ricostruzioni che hanno puntato a nascondere le responsabilità nazionali, coprendole con quelle dei nazisti invasori.
Il 25 aprile è quindi coltivare la memoria. Onorare. Preservare. E le istituzioni hanno il dovere di onorare e preservare la memoria del sacrificio delle antifasciste, degli antifascisti, delle partigiane, dei partigiani e di tutte le vittime del nazifascismo.
Il 25 aprile è lotta. Ieri oggi e sempre.