Intervista su OrizzonteScuola
http://www.flcgil.it/rassegna-stampa/nazionale/didattica-a-distanza-pistorino-flcgil-primo-problema-rintracciare-tutti-gli-studenti-rispolveriamo-giudizio-sintetico.flc
“Gli insegnanti riferiscono al mio sindacato che le questioni più emergenti della didattica a distanza non sono legate al fatto che si sentano caricati di lavoro ma piuttosto alle difficoltà a trovare tutti gli alunni”.
E ancora: “Quanti volumi sono stati scritti sulla disposizione dei banchi e su tutte le tecniche pedagogiche relazionali? A che cosa servono quegli studi, ora, se ci dicono che va bene la didattica dietro uno schermo?” Inoltre, con riferimento alla valutazione, che l’amministrazione chiede di rispettare anche in questa difficile fase della vita anche scolastica del Paese, dice: “Probabilmente andrebbe rispolverato il giudizio che si dava in aggiunta o in sostituzione del voto”. Graziamaria Pistorino, segretaria nazionale della FLC CGIL, già docente di filosofia, dice che questo “è il momento in cui i ragazzi non vanno a scuola, ma la scuola va dai ragazzi”. E si interroga sulla validità, in queste settimane tragiche di didattica a distanza, di riproduzione dello stesso orario settimanale della scuola normale.
Secondo la sindacalista, gli insegnanti devono continuare a ispirarsi alla responsabilità che discende dalla libertà di insegnamento, sancita dalla Costituzione, per raggiungere in ogni modo gli alunni, specie quelli delle scuole di aree a rischio di dispersione, anche con mezzi che non siano quelli che le scuole stanno implementando, poiché, precisa lei, “non tutti hanno un computer, una stampante, un tablet, una connessione che funziona, una motivazione”. E cita la testimonianza di un piccolo allievo, il più bravo della classe, che si è rivolto in questo modo alla propria insegnante: “Buongiorno professoressa. Grazie per avermi dato la possibilità di inviare i compiti tramite foto scattata sul quaderno, perché questa è la mia unica possibilità di inviare i compiti. Posso solo usare il telefonino di mia madre e abbiamo Internet anche abbastanza limitato solo sul suo telefonino, se può riferire anche agli altri professori di apprezzare il mio impegni a fare i compiti, ma purtroppo io i compiti posso inviarli solo facendoli sul quaderno e poi vi invio la foto”. Superando l’emozione del racconto, Graziamaria Pistorino si rivolge anche ai coordinatori delle classi affinché si relazionino anche informalmente con i rispettivi consigli di classe per ricalibrare l’attività didattica tenendo conto delle esigenze specifiche dei propri alunni, “perché le esigenze non sono tutte uguali, nemmeno nella stessa scuola, in questo momento, figurarsi nelle scuole di diversi quartieri e città”.
La Flc ha appena prodotto un documento, che sta girando tra gli iscritti al sindacato, intitolato “La didattica responsabile in epoca di emergenza”. In questi tempi “di sospensione della dimensione sociale e produttiva del Paese”, vi si legge “la scuola continua a rappresentare un luogo di vita, in cui si sviluppano non solo conoscenze, ma senso di appartenenza e di partecipazione. Per questo è necessario che, di fronte all’emergenza, le nostre scuole continuino ad essere presidio di socialità e di democrazia, per gli studenti, per i docenti, per la comunità. Occorre pertanto trovare strumenti che permettano di superare l’isolamento fisico e offrano agli studenti la possibilità di non interrompere del tutto il percorso formativo, salvaguardando il diritto allo studio e attenendosi ai principi fondanti del nostro sistema pubblico di istruzione: la libertà di insegnamento, sancita dall’art. 33 della nostra Costituzione; l’autonomia scolastica regolamentata dal DPR 275/99. E ciò, non per una astratta rivendicazione di principio, ma perché niente vi è di più funzionale all’apprendimento della libertà e dell’autonomia docente che, anche in questi frangenti, rimane la più alta garanzia di efficacia educativo-didattica nell’interesse dell’alunno. In questo scenario si colloca la possibilità di attuare modalità didattiche “alternative”, riconoscendo ai docenti le competenze per scegliere metodi e strumenti idonei a dare, in un contesto denso di difficoltà, le risposte più adeguate ai bisogni di ciascuno dei propri studenti, esercitando la propria autonomia professionale, coerentemente con le procedure organizzative, le articolazioni orarie e le tempistiche adottate dalle rispettive istituzioni scolastiche attraverso i propri organi collegiali. La collegialità, e non l’iniziativa solitaria di singoli docenti,continua infatti a ricoprire una funzione inderogabile di orientamento e progettazione e richiede di essere esercitata, anche nell’emergenza, nel rispetto della normativa vigente, con modalità flessibili e un’articolazione agile e funzionale degli organismi: consigli di classe, team dei docenti, dipartimenti, ecc. La didattica a distanza, seppur variamente articolata, si rivela, in questa particolare situazione non ‘una’ ma ‘la’ modalità per far sentire ai ragazzi che non sono soli, che la comunicazione non si interrompe, che lo studio e l’impegno rimangono l’argine principale contro la paura. Ciò non di meno è evidente che si tratta di una soluzione che non è di per sé in grado di trasferire tout court davanti a uno schermo le attività ‘sospese’, compresa la valutazione degli apprendimenti, perché nessuna piattaforma e nessuna attività a distanza potranno sostituire la didattica ‘in presenza’, costruita su processi collettivi e sulla relazione tra i pari e con gli insegnanti. Non ci sfugge inoltre che il problema della carenza delle infrastrutture informatiche, che riguarda molte realtà del Paese non solo a livello scolastico, rischia di accrescere le disuguaglianze”. Il documento si occupa anche dell’importanza degli organi collegiali e del diritto alla riservatezza sul quale la didattica a distanza ha un impatto davvero straordinario in queste ore.
Segretaria Graziamaria Pistorino, va dato atto intanto che i docenti stanno attuando un po’ dappertutto un’azione incisiva con la didattica a distanza dopo che le scuole hanno sospeso le lezioni a causa della pandemia in corso.
“Senza alcun dubbio e i docenti lo stanno facendo con passione e professionalità: si tratta proprio dell’azione della scuola che si muove verso i ragazzi. Al tempo stesso, comunque, bisogna tenere presente che L’utilizzo dei media dev’essere considerato uno strumento e non un fine. Invece vedo troppe scuole affannarsi a mettere in fila tutta una serie di interventi basati sulle nuove tecnologie con lo spirito di assolvere un adempimento burocratico. Sembra che il problema sia quello di adeguare la didattica alle tecnologie e non il contrario. L’impostazione della didattica a distanza sta diventando il problema. Ma come insegnante delle scuole a rischio come lo cerco riesco a raggiungere l’alunno disperso? Lo cerco con il telefonino, lo cerco attraverso i compagni o il vicino di casa. In questo momento, il bisogno più urgente non è di implementare una piattaforma per inserirci dentro i contenuti. Il vero bisogno del docente è quello di riuscire a incontrare in qualunque modo il proprio alunno”
Scusi ma chi lo vieta?
“La circolare di Bruschi del 17 marzo, ad esempio, predispone una via preferenziale, una indicazione di comportamento, tra tutte le strategie pare privilegiare la modalità in classe virtuale, provando a riprodurre su piattaforma l’impostazione della classe in presenza. Dopo la circolare molti dirigenti hanno formalizzato un orario delle lezioni online, le pause, l’intervallo. Quella circolare ha creato il bisogno di un adempimento burocratico a tutti i costi, svilendo l’entusiasmo iniziale di tutti i docenti che si erano mossi in autonomia e avevano creato esperienze articolate per raggiungere gli alunni. Il commento dei docenti è stato: lasciateci lavorare con gli strumenti che abbiamo. Gli adempimenti burocratici irreggimentano, creano binari obbligatori: si parla addirittura di stabilire quali siano le piattaforme”.
Piattaforme che sono private
“I gestori delle piattaforme sulle quali si stanno appoggiando le scuole presto presenteranno il conto. Servirebbe una sorta di piattaforma informatica pubblica, come ad esempio è la Rai, ma pensata per la scuola e per una implementazione degli strumenti della didattica. Tornando al tema, aggiungo che una didattica a distanza è emergenziale, non può essere portata a sistema. Può essere di approfondimento o utilizzata per emergenza, ma niente può sostituire lo sguardo, l’approvazione, il rapporto docente/discente anche con il contatto corporeo, con le parole, la postura. Ci sono manuali di pedagogia che abbiamo studiato e che ci dicono che lo spazio della relazione pedagogica è irripetibile, che è necessaria la didattica in presenza. Ci sono biblioteche di pedagogia che sottolineano quanto sia determinante la vicinanza e il rapporto docente-alunno anche sul piano corporeo. E quanti volumi sono stati scritti sulla disposizione dei banchi? A che cosa servono quegli studi se ci dicono che va bene la didattica a distanza? Fermo restando che in quanto strumento, anche l’uso della tecnologia è buono per trovare un contatto con gli studenti”.
Studenti che spesso direttamente o indirettamente, o comunque come cittadini di questo Paese sconvolto dalla pandemia, non si possono considerare indifferenti dal contesto in cui stanno vivendo.
“I lutti sono talmente tanti che non possono lasciare indenne l’assetto psicologico dello studente. La scuola ha la funzione di rassicurare gli studenti sulla prosecuzione della vita, attraverso lo scambio anche di rassicurazioni. In questo momento, i contenuti dell’apprendimento sono un’occasione per incontrarsi, non sono il vero scopo degli incontri. La scuola si deve togliere dalla testa l’idea che la pagina di storia o l’espressione algebrica siano la cosa più importante in questo momento. Contano la capacità di relazionarsi con i compagni e con l’insegnante, ma anche la capacità di prendere da coscienza di quello che sta avvenendo e di averne una visione critica, di acquisire consapevolezza, di farne metaragionamento… In questo momento gli insegnanti dovrebbero riflettere sulla comunicazione. Davvero dobbiamo fare una verifica sui contenuti della lezione di fisica e non invece spingere i ragazzi a domandarsi su che cosa sia la fisica e magari a interrogarsi sul ruolo della scienza e della ricerca nella pandemia che il mondo sta vivendo?”.
Cosa si dovrebbe fare, invece, secondo lei?
“Ad esempio sulla letteratura, anziché puntare sui contenuti programmati a settembre, si potrebbe parlare della peste raccontata nei romanzi. L’insegnante potrebbe far fare allo studente un diario di autovalutazione rispetto all’esperienza che sta vivendo. Bisogna puntare sulla capacità critica dello studente e sulla valutazione formativa, non su quella sommativa. Bisogna diventare protagonisti dello strumento e non farsi dominare dallo strumento, dal microfono, dalla telecamerina. La libertà di insegnamento si concretizza in questo momento in una modalità nuova di fare didattica, orientata non ai contenuti ma agli studenti che stanno apprendendo, alle loro capacità critiche, alla loro capacità di riflettere attraverso la disciplina sulla realtà circostante che stiamo vivendo tutti. C’è sempre qualcosa che si aggancia al virus, alla malattia, alla restrizione della libertà, all’economia, alle scienze, alla letteratura, alla filosofia, alla matematica. Il docente comprende che per agire veramente la propria libertà di insegnamento è chiamato alla responsabilità di scegliere. Non devie seguire i programmi, ma i bisogni della propria classe, che sono diversi da quelli delle altre classi. La professionalità docente è oggi interrogata fortemente su cosa fare e come farlo. I ragazzi in dispersione scolastica non sono spariti, loro ci sono ancora. Ma dove? Dove sono quei ragazzi? Possiamo davvero immaginare che siano davanti a un pc, che magari non hanno? Chi lavora in una scuola a rischio, magari del Sud, non cerca i ragazzi sulla classe virtuale, ma prova con altro, con il telefono ad esempio. La didattica a distanza non può essere limitata a certi canali e basta. Occorre rispettare il lavoro dei docenti che al di là delle indicazioni del ministero, spesso burocratiche, hanno già individuato i modi per raggiungere gli alunni che non si fanno vedere. E invece si pensa ai voti, alla valutazione”.
Chi lo pensa?
“La Nota 388 del 17 marzo dice che bisogna affermare il dovere alla valutazione, con tutto quel che segue, ma come si fa? Certamente, nella normalità, vanno bene il diritto e il dovere della valutazione, ma poi bisognerebbe anche ricordarsi che magari sotto la finestra dello studente passa la colonna di camion con le bare o che esistono i quartieri a rischio. Gli insegnanti, soprattutto in alcune zone del paese e nei contesti più difficili, ci riferiscono che le questioni più emergenti non sono legate al fatto che si sentano caricati di lavoro, ma sono legate al fatto che non riescono a trovare gli alunni”.
Che cosa ci attende?
“La parte dell’anno che ci attende è problematica perché dobbiamo dare un esito a tutti gli sforzi che si stanno facendo. Occorre trovare una soluzione uguale per tutto il Paese. Gli esami di Stato si devono fare. Serve ripeterlo: questo è il momento in cui i ragazzi non vanno a scuola, ma la scuola va dai ragazzi, per questo non diciamo di no alla didattica a distanza, ma certamente ribadiamo che va sottolineata la complessità dell’azione pedagogica come spinta alla formazione critica, alla cittadinanza, all’interculturalità, al rispetto degli stranieri e questo non si raggiunge con una forzatura, quasi con l’automatismo della valutazione sommativa”.
In questa fase difficile per tutti occorrerebbe rivedere la didattica, questo è pacifico. Ma da chi deve partire l’impulso secondo lei?
“L’organo collegiale chiamato a questo compito è il consiglio di classe, che ha la responsabilità delle scelte educative, anche della scelta di una adeguata articolazione dell’orario. La gestione dell’orario e i tempi dei docenti sulla didattica sono competenze dei consigli di classe e i colleghi devono agire questa competenza anche dal punto di vista organizzativo rispetto ai tempi di attenzione, di studio e di vita dei ragazzi. Non è burocrazia, si badi. Occorre trovare strumenti comuni per dare il senso di un’unità didattica lunga: è davvero così necessario impostare l’orario di tutte le ore perché devo finire il programma? E’ necessario davvero svolgere su tutti i giorni l’orario di lavoro? Se io professore di filosofia indico ai ragazzi invece un film o un libro collegato ad una specifica tematica già affrontata, dicendo loro: lo guardate e tra due giorni o una settimana realizzate un breve video o un commento scritto in cui mi raccontate la vostra impressione, questo non è uno strumento didattico utile in questo momento?”
E poi c’è la questione cruciale della valutazione. Come la mettiamo?
“Sicuramente la pedagogia ci dà ampissime risposte a partire dalla valutazione formativa, dall’autoanalisi, dal diario personale dell’alunno, dal racconto di sé, oppure il vecchio giudizio che si dava in aggiunta o in sostituzione del voto. Per concludere l’anno, oltre la valutazione del primo quadrimestre cosa possono valutare? La maturazione umana, quella psicologica, relazionale e culturale in senso ampio dello studente in questi mesi. Per un docente che abbia il contatto con la propria classe non è impossibile valutare questo periodo. Faccio riferimento alla mia esperienza di insegnante. Il docente hai già un profilo dello studente, maturato attraverso i mesi già trascorsi, se in questo periodo gli richiede una performance che abbia un valore critico, a giugno non si avranno gli strumenti per valutarlo? E se, su una classe di 25 alunni, ne abbiamo 15 con valutazioni insufficienti del primo quadrimestre, certamente in questo periodo, si proporranno specifiche azioni di recupero mirato per gli alunni che sono rimasti indietro. Bisogna puntare sulla didattica formativa”.
Che cosa vorrebbe dire o chiedere alla ministra dell’Istruzione?
“Come FLC CGIL diciamo che non è possibile adottare una didattica d’emergenza a colpi di circolari senza parlare con i sindacati dei docenti e soprattutto chiediamo di predisporre una cabina di regia condivisa per provare a definire un calendario dell’anno scolastico in corso per dare chiarezza agli studenti, anche sull’esame di Stato, che si deve fare. Chiediamo inoltre, di dare seguito a un lungo anno di trattative sindacali e realizzare un piano di assunzioni straordinario, a questo punto per soli titoli per un tempestivo avvio del nuovo anno scolastico. Su tutto questo, come sul contratto, sulla mobilità, non abbiamo un’idea di come il Ministero intenda procedere. La ministra non si esprime e non ci convoca”.
Nei giorni scorsi alcuni dirigenti scolastici hanno preso le distanze in maniera molto dura dalle vostre richieste come quella di ritiro della Circolare Bruschi ritenuta illegittima da un documento congiunto firmata assieme ad altri sindacati. Hanno scritto che la scuola è degli studenti, non di voi sindacati.
“Mi ha colpito il fatto che il documento dei dieci si rivolga agli studenti e non citi gli insegnanti. Questi colleghi stanno facendo enormi sforzi con abnegazione e non sono considerati? Mi lascia perplessa anche il linguaggio utilizzato, in merito alla capacità di dialogo democratico che c’è in questo paese, sul rispetto delle organizzazioni sindacali, sull’utilizzo di una comunicazione così aggressiva, sono rimasta veramente colpita”.
Senta, riceviamo anche richieste di chiarimento da parte di studenti universitari, che si sentono disorientati in questa difficile situazione: cosa si può rispondere?
“Questa emergenza mette in evidenza tutti i limiti del sistema dell’autonomia delle università, infatti, Mentre per la scuola, pur nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni, le indicazioni generali, come le dotazioni organiche o i capitoli di spesa e i finanziamenti valgono sull’intero territorio nazionale, rispetto al sistema universitario stiamo verificando come ognuno stia andando per conto proprio. C’è chi discute la tesi di laurea su Skype, mentre altri atenei hanno rinviato le sessioni di laurea. Ci sono alcuni limiti dell’autonomia delle università che non hanno giovato a questo Paese. Si pensi alla pianificazione delle attività, ad esempio: i numeri dei Tfa di sostegno non sono stabiliti dal fabbisogno di docenti specializzati su quel territorio, ma dalla capacità della università di realizzare i corsi. E così succede che pur essendoci in una data regione un grande bisogno di insegnanti di sostegno, gli atenei non hanno abbastanza tutor o docenti o aule e ambienti adeguati e non organizzano corsi di Tfa a sufficienza”.