In questo Paese dove le voci dissonanti sono oramai una merce rara e tutto sembra coperto da una coltre di consenso a prescindere a favore del governo di destra, solo qualche pallida preoccupazione sembra a tratti emergere rispetto alla possibile decisione di spendere meno di quanto assegnato all’Italia dei fondi del Pnrr.
Oramai assistiamo quasi quotidianamente a una corsa dei vari ministri e della stessa Presidente del Consiglio a mettere le mani avanti rispetto a un esito che si avvicina; una corsa che, partita dal debole tentativo di denuncia di ritardi e responsabilità di altri e ben presto smentita e ridicolizzata da fatti e riscontri, si è attestata ora sul più, in apparenza, giustificabile “meglio spendere meno ma bene”. Una dichiarazione anticipata di sconfitta così esplicita non si era mai vista.
L’Italia che a causa del dramma vissuto con la prima fase del Covid è il vero fruitore principale del “Next Generation EU” al punto che se lo avessero chiamato “Next Generation ITA” nessuno avrebbe obiettato, si prepara ad annunciare che non praticherà tutto il fondo (200 miliardi di euro) che le è stato messo a disposizione a condizioni irripetibili. E lo farà per manifesta incapacità di gestire e dirigere il processo da parte di questo governo, per non aver promosso con le parti sociali quel confronto necessario per definire le scelte necessarie di politica industriale, di reperimento di professionalità esperte, di riforma della pubblica amministrazione, di obiettivi concreti decisivi e praticabili sul territorio nazionale.
Questa è la realtà ma non si sente da nessuna parte, tranne la voce della Cgil e poco altro a gridare questa drammatica situazione. Drammatica non solo per gli effetti immediati che essa avrà con il taglio dei possibili finanziamenti ma soprattutto perché questa vicenda dimostrerà all’Europa intera l’inaffidabilità del nostro Paese di fronte alle grandi scelte. Una sconfitta politica profonda con conseguenze inimmaginabili sulla situazione economica e finanziaria del Paese e sul rapporto tra il nostro Paese e la Comunità europea. Una sconfitta dell’Italia prima ancora che del governo in carica.
Il primo fronte di questa sconfitta annunciata si gioca sulla questione degli asili nido per i bambini da 0 a 3 anni. Il governo sembra oramai dare per certo che non sarà possibile rispettare gli obiettivi e relativi tempi del Pnrr. Per difficoltà amministrative di una serie di Comuni, per la difficoltà a costruire consorzi dei Comuni più piccoli per concordare le scelte, per mancanza di competenze amministrative e gestionali, per il ritardo sulla formazione e reclutamento del personale dei nidi e anche, possiamo aggiungere noi, per la mancanza di iniziativa politica e culturale per promuovere per tempo una domanda sociale forte verso questi servizi che oramai sono a tutti gli effetti Lep che i Comuni “devono” osservare.
Avete colto qualche traccia di impegno in questa direzione? Il Ministro del Merito, ha mai speso una parola per valorizzare l’esperienza dello 0/6? È mai riuscito a trovare il tempo, tra un manifesto ideologico e l’altro, di parlare dei bambini più piccoli e del loro futuro? Ha mai attivato, sul tema, incontri con le organizzazioni sindacali e con le associazioni professionali della scuola? Ne ha mai parlato il Ministro Calderoli, troppo impegnato per il suo progetto deleterio di autonomia differenziata?
Persino Andrea Gavosto, della Fondazione Agnelli, si sbilancia timidamente su “La Stampa” del 29 aprile a lamentare questo rischio, dato per certo, di fallimento, malgrado “una solida evidenza dei benefici che andare al nido dà alla crescita cognitiva, emotiva e relazionale dei bambini”. Tutto qui: un beneficio in meno dunque e allora nulla poi di così di grave.
E no. L’esperienza del nido non è un beneficio in più: è una occasione irripetibile per i bambini di ogni ceto sociale, provenienza e nazionalità, per percorrere i sentieri delle opportunità, i territori di esperienza in cui ciascuno troverà un’impronta, un percorso che creerà condizioni del tutto nuove per crescere, sentendo vicino a sé la presenza e la cura di un gruppo di adulti che lo accoglierà e aiuterà in questa esplorazione. L’assistenza e la cura dei più piccoli sono valori straordinari ma non solo. La possibilità di diverse capacità nel futuro di un bambino nasce da questo primo incontro in un contesto ambientale pensato per la loro crescita. Un incontro che li aiuta, soprattutto se figli unici, anche a superare la solitudine individuale e a iniziare a scoprire il senso della socialità, dell’incontro con l’altro e il gruppo dei pari. Senza queste opportunità i diritti sono compressi alla radice e le diseguaglianze sono in agguato. Per questo sono necessari nuovi nidi e pubblici (oggi meno della metà del totale), accessibili anche da parte di chi oggi non può pagare le rette dei nidi privati e per questo motivo non accede al nido e spesso decide di lasciare il lavoro: 52.000 nel solo 2021, secondo i dati Istat, i neo genitori dimissionari dal lavoro. Un risultato sconcertante nell’Italia che ha bisogno di lavoro, di lavoro femminile, e che avrebbe anche bisogno di investire sui più piccoli per dare un segno di cambiamento alla stagione del gelo demografico. E inoltre per porre le basi per il passo successivo: la scuola dell’infanzia a tempo pieno e a calendario pieno su tutto il territorio nazionale, come premessa di una nuova scuola di base del sistema di istruzione pubblico.
Un governo responsabile dovrebbe inchiodare i Comuni inadempienti a muoversi, pena il commissariamento come misura necessaria per assicurare ai bambini i livelli essenziali di prestazione. Questa è del resto la grande novità giuridica e politica affermata dalla Corte costituzionale il 14 aprile scorso con la sentenza n°71 che tutti dovrebbero appendere alla parete. Una decisione storica che il governo deve agire senza incertezze, ove fosse necessario. Certo, non saranno solo le norme, anche quelle giuste, a cambiare il Paese. Ma norme giuste sono uno strumento fondamentale a sostegno di una cultura politica per il cambiamento che passa in primo luogo dalla politica. La questione dei nidi è questione centrale per il Paese. Speriamo che qualcuno se ne accorga. Se i Lep per l’infanzia venissero aggirati ora, sarebbe un pessimo segnale per la partita più ampia destinata ad aprirsi in questi mesi.
Mancano 32 mesi alla fine del 2025. Noi ci ostiniamo a lavorare, con una residua carica di ottimismo della volontà, affinché si possano aprire tavoli a livello comunale e regionale per promuovere tutte le azioni necessarie per sostenere la diffusione degli asili nido pubblici e la crescita di una cultura per l’infanzia che molto avrebbe da dire a una società che, travolta dal modello sociale del consumo e dalla retorica del merito, ha finito per dimenticare l’infanzia e i suoi diritti.
Ripartire dal territorio senza luoghi per i più piccoli è una rinuncia al futuro. Lavoriamo tutti per impedire che ciò accada.